giovedì 7 maggio 2015

Diamo voce all'urlo soffocato in noi. - "Il drago va AFFRONTATO, non aggirato."

Pensieri, parole, animi stanchi.
Ma anche voglia di riscatto, di respiro, di vita.



-inviato da Gabriella


Provo a raccontarvi la mia storia sperando possa dare fiducia a chi DAVVERO vuole uscire dalla malattia. Leggo troppi post di persone che si dicono stanche distrutte affrante disperate…ma poi quando si parla di ricovero o anche di supporto psicologico o psichiatrico trovano mille motivi (scuse?) per non andare….
Mi sono ammalata durante la mia prima vacanza da sola, a 16 anni. Mi trovai male ma non chiesi aiuto a nessuno, mentendo anche a colei di cui più avrei dovuto fidarmi, la dispensatrice di cibo: mia mamma. E investii ogni energia in una dieta che mi facesse sentire meno brutta.
Tornai a casa ed ero anoressica.
I miei genitori se ne accorsero immediatamente e immediatamente, ad estate finita, cominciò il giro dei dottori, in un periodo in cui il disturbo alimentare era ancora un perfetto sconosciuto, studiato solo negli Stati Uniti. Psicologi, endocrinologi, psichiatri: dalla terapia della famiglia al rebirthing, e almeno dieci anni di psicacanalisi freudiana durante i quali imparai molto su me stessa, ritrovai pezzi di passato rimosso o sul quale avevo mentito a me stessa, ammisi episodi che ritenevo inconfessabili…
Negli anni passai alla bulimia, imparando a vomitare e come farlo da un libro.
Furono 15 anni di ricoveri, analisi, sintomi. E a margine una specie di vita: il po’ di lavoro e famiglia che riuscivo a gestire, amori chiaramente scelti perché mi facessero altro male. Spesi milioni delle allora lire (15 per essere precisi, una liquidazione di un lavoro precedente) in 6 mesi per mangiare. … finchè mi chiamarono per l’ennesimo ricovero.
Avevo da poco concluso un day hospital al San Raffaele di Milano, dove papale papale avevano detto ai miei che ero cronica. Il Dottor Dalle Grave dell’AIDAP – responsabile della struttura Villa Garda – mi aveva detto che ero grave ma io non mi sentivo per niente grave. Vomitavo anche 10 volte al giorno, pesavo 40 kg… ma tutto era sotto controllo.
Dicembre 2002 entro a Villa Garda
Sei mesi dopo: esco da Villa Garda
È maggio mi pare, o giugno. Sul lago c’è un clima meraviglioso, appena usciti con i miei facciamo una passeggiata tra i banchetti del mercatino. Ho una paura grigia… ma un miracolo è già avvenuto: il dottore che mi seguiva ha fatto di mia madre, colei che mi aveva detestata per averla messa in discussione come madre perfetta, colei che mi aveva – esasperata dai miei isterismi – buttata fuori di casa, la mia alleata nella terapia: se avessi avuto bisogno di attuare un sintomo, avrei chiesto aiuto a lei. Un’alleanza che ha ricostruito il nostro rapporto: paradossalmente nel momento in cui ero CHIARAMENTE e DICHIARATAMENTE malata, mia mamma ricominciò a stimarmi e a trattarmi da pari a pari.
Due donne forti che finalmente erano alleate e non nemiche… a volte basta così poco… ma sono percorsi che possono essere fatti solo sotto la guida di figure esterne e professionali.
Il miracolo successivo è stata la RINASCITA. Con il supporto – inizialmente importante – di psicoterapeuta e nutrizionista, non ho mai più avuto sintomi.
Ora, a distanza di 10 anni da quel miracoloso ricovero, sto cominciando a raccogliere i frutti del lavoro: a 45 anni mi sento bella, mi prendo (in modo sano, non fanatico) cura di me, ho imparato che comprare i vestiti adatti al mio corpo non è umiliante, ho gestito da capofamiglia due funerali, ho due lavori, ho imparato a non soffrire per amore. Ho imparato – se non a dire di no – a capire quando una cosa non voglio farla, e spesso dico di no perché sono gli obblighi, i doveri, la sensazione di gabbia a farmi regredire. Ho imparato che se una cosa non mi torna – se litigo, se non mi trovo bene con una persona, se qualcosa non mi viene perfettamente – non è necessariamente colpa mia ma potrei avere motivi validi almeno quanto quelli dell’altro. Ho imparato – quello credo di sì – a tutelarmi, sia pure in extremis, per non dimenticarmi mai completamente di me stessa.
Perché sto troppo bene ora, e la sola idea di tornare a quella malattia mi terrorizza: tempo e soldi, soldi e tempo. Tanto tempo in più, tutto il tempo che prima dedicavo al cibo ora è per me.
Certo, il rapporto con il cibo non è neutro, continuo – ma forse è il mio carattere sul serio – a non amare particolarmente la vita sociale, la compagnia delle persone. Ma dopo 15 anni di malattia, a 45 anni… di più non posso davvero desiderare!!!!
Del ricovero non racconto nulla tranne che è stata durissima. Ho guardato in faccia il cibo, ho visto svanire quello che fino ad allora era il senso della mia vita, strappato via con la forza. Ma il drago va affrontato non aggirato. Avere paura, disperazione, odio, schifo, terrore, solitudine ma riuscire a vincere. Perché non si è soli, ma si è circondati da persone competenti – affettive comprensive sì ma il giusto, non sono lì per darci ragione nei nostri sintomi e pensieri – pronte, come i bambini che imparano ad andare in bicicletta senza rotelle, a evitare che cadiamo mentre NOI pedaliamo.
Questo è stato per me quel ricovero.


 

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